La co-costruzione della narrazione: una danza tra narratore e narratario

Una narrazione è un prodotto sociale che nasce da una costante negoziazione di significati tra un narratore (chi racconta) ed un narratario (il destinatario del racconto). Quest’ultimo, reale o fittizio che sia, assume un ruolo attivo nel processo narrativo che in tal modo, piuttosto che essere la costruzione esclusiva e unidirezionale di chi racconta, si configura come una co-costruzione reciproca e dinamica. 

Dalla nascita siamo subito immersi in un mondo di storie, e già ben prima di imparare a parlare cominciamo a raccontarne di nostre grazie al sostegno degli adulti di riferimento, nostri partner conversazionali esperti. Le narrazioni diadiche precoci tra genitori e bambini, plasmano l’intero sviluppo narrativo, cognitivo ed emotivo del bambino. Questi effetti positivi e duraturi sono stati costantemente confermati dalle ricerche che fanno parte di un ricco filone di studi che si è interamente dedicato allo studio dell’attività di ricordo condiviso (shared reminiscing) tra coppie di madri e bambini.

Quando le madri sostengono le narrazioni dei bambini con interventi che ne promuovono una maggiore elaborazione in termini di nessi temporali, stati interni e spiegazioni causali, si riscontrano maggiori benefici a lungo termine nello sviluppo linguistico, cognitivo e socio-emotivo  rispetto a quando gli interventi materni sono meno elaborativi. In questo processo, tuttavia, è fondamentale che l’adulto adatti il proprio contributo al livello evolutivo del bambino, in modo da svolgere uno scaffolding (un sostegno) adeguato alle sue competenze e quindi stimolante, ma sufficientemente semplice per supportarlo nell’esplorazione e nel rafforzamento delle abilità emergenti che ancora non è in grado di padroneggiare da solo. In questo gioco di co-narrazione dialogica tra il bambino inesperto e l’adulto competente, appare evidente la co-costruzione narrativa: da narratore principale, l’adulto, diventa progressivamente narratario del racconto del bambino, a mano a mano che quest’ultimo impara a padroneggiare le proprie competenze narrative in maniera monologica. Crescendo i bambini capiscono che i destinatari dei loro racconti possono avere diversi livelli di conoscenza, stati emotivi, credenze e opinioni su uno stesso fatto. Per questo diventa fondamentale che le loro narrazioni siano sufficientemente informative ed interessanti per essere comprensibili e trasmettere la comunicazione in modo efficace.

In altre parole, i bambini imparano a decentrarsi dal proprio punto di vista per assumere quello dell’altro ed adattare la propria narrazione alle sue esigenze di comprensione, una competenza che continua ad affinarsi anche nell’età adulta.

Questa capacità permette a chi racconta di prefigurare l’effetto che la narrazione potrebbe avere e di modularla di conseguenza. Per esempio, a chi non è successo di modificare un racconto per cercare di recuperare un ascolto vacillante, per arrivare poi a troncarlo bruscamente quando appurato che l’attenzione era ormai persa? Oppure, al contrario, a chi non è capitato di arrivare ad elaborazioni inattese di una narrazione trovandosi di fronte ad un ascolto accogliente e interessato? Il modo in cui l’interlocutore si pone rispetto ad una narrazione, i suoi feedback verbali e non, il suo ruolo e la relazione con il narratore, sono tutti fattori che concorrono nella dinamica del processo narrativo, determinando la narrazione finale. In tal senso la narrazione somiglia a una danza tra un narratore e narratario, dove non è chiaro chi dirige né tanto meno dove finiscono i movimenti dell’uno e cominciano quelli dell’altro: così come i corpi di due ballerini disegnano un’unica coreografia, così i reciproci adattamenti e le continue modulazioni che avvengono tra il narratore ed il narratario plasmano un’unica narrazione finale.

E cosa ne è di tutto questo quando il narratore è apparentemente solo, magari seduto a una scrivania mentre digita privatamente la sua storia sulla tastiera di un computer? Cosa succede quando il destinatario della narrazione non è presente al momento in cui essa viene fatta? Come cambia questo processo con i possibili mondi che si aprono oggi grazie alle nuove tecnologie e modalità di comunicazione digitale?

Vediamolo nel prossimo articolo!

Articolo a cura di Eleonora Bartoli, Psicologa

Eleonora Bartoli è una Psicologa e Ph.D. student in psicologia presso la Goethe Universität. Dopo la laurea in psicologia all’Università di Firenze, si è dedicata alla ricerca, con progetti sulla relazione tra memoria e narrazioni autobiografiche e sul ruolo delle funzioni esecutive nello sviluppo narrativo e nell’espressione della teoria della mente nei bambini. Ha collaborato allo sviluppo di un’applicazione per bambini nel contesto turistico, investigando i loro interessi e bisogni espressi nelle narrazioni di viaggio. Attualmente svolge un progetto sullo sviluppo e l’espressione di regolazione emotiva e perspective-taking nelle narrazioni di bambini maltrattati.

 

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